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Dazi USA

05-04-2025 10:11

Ufficio Stampa

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Dazi USA

Con i dazi USA a rischio 33mila addetti nelle imprese manifatturiere: 13mila nelle micro e piccole imprese    I nuovi dazi imposti dagli Stati Uniti p

 

 

 

Con i dazi USA a rischio 33mila addetti nelle imprese manifatturiere: 13mila nelle micro e piccole imprese

 

 

 

I nuovi dazi imposti dagli Stati Uniti potrebbero compromettere seriamente il futuro di 33.000 addetti occupati nella filiera manifatturiera italiana impegnata nell’export verso il mercato statunitense. Di questi, 13.000 sono occupati nelle micro e piccole imprese (MPI), che da sole esportano negli USA beni per un valore di 17,9 miliardi di euro.

È quanto emerge dalle recenti elaborazioni di Confartigianato, che mettono in luce l’impatto potenziale di una politica commerciale aggressiva e restrittiva, come quella in atto da parte dell’Amministrazione americana.

Secondo le stime della Confederazione, l'introduzione di nuove tariffe potrebbe comportare un crollo di oltre 11 miliardi di euro delle nostre esportazioni verso gli Stati Uniti, che nel 2024 hanno raggiunto un valore complessivo di 64,8 miliardi.

La regione Lombardia – che si colloca al primo posto in Italia per valore dell’export verso gli USA con 13,5 miliardi di euro (20,5% del totale nazionale) – è tra le più esposte. In particolare, la provincia di Milano guida la classifica con 6,1 miliardi, seguita da Firenze, Modena, Torino, Bologna e Vicenza.

Tra i settori maggiormente penalizzati dai dazi del 25% sulle automobili figurano le imprese dell’Emilia-Romagna (67,1% dell’export italiano nel comparto auto verso gli USA), seguite da Piemonte, Campania e Trentino-Alto Adige. Le province di Modena e Bologna risultano le più vulnerabili, con quote del 39,6% e del 26% rispettivamente.

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Nel 2024, i settori a maggiore presenza di MPI – tra cui alimentare, moda, arredo, legno, metalli, gioielleria e occhialeria – hanno registrato esportazioni per 176,1 miliardi di euro, in crescita del 3% rispetto al 2023, in netta controtendenza rispetto alla flessione dello 0,5% del totale dell’export manifatturiero nazionale.

In particolare, le micro e piccole imprese italiane stanno guadagnando quote significative in aree non tradizionali: Turchia, America Latina, Emirati Arabi Uniti, ASEAN, Nord Africa, Africa Subsahariana e Arabia Saudita, dove nel 2024 hanno raggiunto 23,4 miliardi di export, con un aumento del 31,1% sull’anno precedente.

Sulla questione è intervenuto anche il Presidente di Confartigianato Cremona, Stefano Trabucchi, che ha sottolineato con forza:

«Le piccole imprese italiane hanno costruito il loro successo sulla qualità, sulla competenza artigiana e sulla fiducia conquistata nei mercati internazionali. Oggi, a causa di una politica di dazi miope, rischiamo di vedere sacrificati anni di lavoro e relazioni commerciali consolidate. Non possiamo permettere che l’export diventi ostaggio di una logica di ritorsione tra potenze. Non si baratta il lavoro artigiano con una guerra commerciale. Serve una reazione ferma da parte dell’Europa, ma anche un piano nazionale concreto per accompagnare le nostre imprese nella diversificazione dei mercati e nella promozione del Made in Italy nei paesi emergenti».

“ Le nostre aziende, - prosegue Iacomelli - anche se di dimensioni piccole , negli anni hanno dovuto preoccuparsi di internazionalizzare le proprie competenze e prodotti; ora per una politica che non rispetta alcuna regola economica di mercato, ci si dovrebbe rimettere nuovamente in gioco per trovare nuovi sbocchi ed abbandonare progetti avviati di collaborazione con partner oltreoceano.

Anche la revisione minima al ribasso dei dazi non consentirebbe la tenuta del mercato dei prodotti di alta qualità, a causa dei margini che resterebbero comunque ridotti. Le nostre aziende, in questi anni, hanno assorbito rincari dei costi di produzione dovuti principalmente alle materie prime ed ai costi dell’energia e non sono in grado di assorbire anche i dazi.  

Il monito è chiaro: senza un intervento tempestivo e coordinato, l’Italia rischia di vedere compromessa una delle sue principali risorse economiche e culturali – il saper fare artigiano – a causa di logiche geopolitiche che nulla hanno a che fare con la qualità dei prodotti e la credibilità degli imprenditori italiani nel mondo.

 

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